ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
OCNUS
Quaderni della Scuola di Specializzazione
in Beni Archeologici
17
2009
ESTRATTO
Direttore Responsabile
Sandro De Maria
Comitato Scientifico
Sandro De Maria
Raffaella Farioli Campanati
Richard Hodges
Sergio Pernigotti
Giuseppe Sassatelli
Stephan Steingräber
Coordinamento
Maria Teresa Guaitoli
Simone Rambaldi
Editore e abbonamenti
Ante Quem soc. coop.
Via C. Ranzani 13/3, 40127 Bologna
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Traduzione degli abstracts
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Le sigle utilizzate per i titoli dei periodici sono quelle indicate
nella «Archäologische Bibliografie» edita a cura
del Deutsches Archäologisches Institut.
Autorizzazione tribunale di Bologna n. 6803 del 17.4.1988
Senza adeguata autorizzazione scritta, è vietata la riproduzione
della presente opera e di ogni sua parte, anche parziale, con qualsiasi
mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.
ISSN 1122-6315
ISBN 978-88-7849-038-3
© 2009 Ante Quem soc. coop.
INDICE
Presentazione
di Sandro De Maria
9
ARTICOLI
Preistoria e protostoria
Lorenc Bejko
Life and Death in the periphery of the Mycenaean world:
cultural processes in the Albanian late Bronze Age
11
Nicola Bianca Fábry
Lo scarabeo della tomba 7 di Monterenzio Vecchio
e le parures d’ambra delle necropoli etrusco-celtiche della valle dell’Idice
23
Andrea Gaucci
Coppa da una tomba villanoviana di Vetulonia: fenicia o siriana?
29
Franco Marzatico, Lorenza Endrizzi
Un nuovo cinturone villanoviano dai Campi Neri di Cles (Trentino)
45
Culture della Grecia e di Roma
Cornelia Isler-Kerényi
Antefisse sileniche fra Grecia e Italia
55
Archeologia tardoantica e medievale
Andrea Augenti, Andrea Fiorini, Massimiliano Montanari,
Massimo Sericola, Alberto Urcia, Fabio Zaffagnini
Archeologia dell’architettura in Emilia-Romagna: primi passi verso un progetto organico
65
Maria Teresa Guaitoli, Andrea Baroncioni, Massimo Zanfini
Lo scavo della chiesa di Santa Maria Maggiore a Trento
77
Archeologia orientale
Gabriele Bitelli, Marco Bittelli, Federica Boschi, Nicolò Marchetti, Paola Rossi, Luca Vittuari
An Integrated Approach for the Use of GPS and GPR in Archaeological Sites:
a Case-Study at Tilmen Höyük in South-Eastern Turkey
89
5
Ocnus 17, 2009
Gian Luca Bonora, Zholdasbek Kurmankulov
Nomadi e agricoltori nel delta del Syrdarya (Kazakhstan) fra l’età del Bronzo e l’antica età del Ferro
101
Angelo Di Michele
L’architettura sacra nella Siria dell’età del Bronzo Antico
119
ARTICOLI-RECENSIONE
Lorenzo Mancini
Rituale e strutturazione del paesaggio sacro negli Asklepieia della Grecia
133
Luisa Mazzeo Saracino
Lo studio della ceramica archeologica e il manuale tecnico di Ninina Cuomo di Caprio
138
Simone Rambaldi
Qualche riflessione sulle mostre archeologiche degli ultimi anni in Italia
142
SCAVI DELLA SCUOLA E DEL DIPARTIMENTO DI ARCHEOLOGIA
Introduzione
di Sandro De Maria
149
Italia
Albinia (Grosseto)
Claudio Calastri, Daniele Vitali
151
Casacalenda (Campobasso)
Lorenzo Quilici
153
Classe (Ravenna), suburbio
Giuseppe Lepore, Giovanna Montevecchi
155
Corinaldo (Ancona), Chiesa di Santa Maria in Portuno
Giuseppe Lepore
158
Emilia-Romagna, scavi di archeologia medievale
Andrea Augenti, Mila Bondi, Enrico Cirelli, Nicola Mancassola, Giorgia Musina, Enrico Ravaioli
162
Ercolano (Napoli)
Antonella Coralini, Daniela Scagliarini Corlàita
180
Fondi e Itri (Latina)
Lorenzo Quilici
182
Galeata (Forlì-Cesena), Villa di Teoderico
Riccardo Villicich, Marialetizia Carra
184
6
Indice
Marzabotto (Bologna)
Elisabetta Govi
189
Monterenzio Vecchio (Bologna)
Lisa Guerra, Thierry Lejars, Vanessa Poli, Barbara Vaccari, Daniele Vitali
192
Ostia (Roma)
Massimiliano David, Angelo Pellegrino, con la collaborazione di Giacomo Orofino e Marcello Turci 198
Ostra (Ancona)
Michele Silani, Cristian Tassinari
203
Povegliano (Verona)
Nicola Bianca Fábry, Dániel Szabó
206
Roma, S. Paolo alla Regola
Lorenzo Quilici
209
Suasa (Ancona)
Marco Destro, Enrico Giorgi
210
Sutri (Viterbo)
Lorenzo Quilici
219
Valle del Sinni (Matera e Potenza)
Lorenzo Quilici
220
Albania
Phoinike
Sandro De Maria
221
Croazia
Burnum
Enrico Giorgi
226
Egitto
Bakchias (Fayyum)
Sergio Pernigotti
231
Francia
Bibracte
Enrica Camurri, Rosa Roncador
234
Grecia
Gortyna (Creta)
Isabella Baldini Lippolis
239
Kos
Isabella Baldini Lippolis
241
7
Ocnus 17, 2009
Siria
Bosra
Raffaella Farioli Campanati
244
Uzbekistan
Samarcanda
Amreddin Berdimuradov, Rita Dimartino, Dario Giorgetti, Simone Mantellini
246
8
Ocnus 17, 2009, pp. 55-64
ANTEFISSE SILENICHE FRA GRECIA E ITALIA
Cornelia Isler-Kerényi
How can we explain the recurrent presence of the satyr motif in the figurative architectural decoration of the Etruscan
temples? After a brief survey of the motif’s “journey” from Aetolia to Magna Grecia and, finally, to Etruria, the
search for a possible common denominator of the entire repertory will be carried out: the gorgoneion, the nymph, the head
of Acheloo, vegetal motifs and, in a subsequent phase, the lion’s head. The hypothesis that the roof of the temple was
thought to be a connecting zone from the terrestrial level (where the trees, inhabited by the nymphs, partners of the
satyrs, are born and grow up) to the divine one (from which fresh water, symbolized by Acheloo, originates) seems likely. The fact that the satyr might at times wear the skin of a lion or a panther highlights the common role it shares
with the gorgoneion or the lion’s head, as defender and guardian of the temple’s sacredness and thus of cosmic order.
L’immagine di Dioniso e del suo seguito
mitico è presente, sia in Grecia, sia in Etruria,
assai più in ambiti personali che in ambiti pubblici e ufficiali1. A questi ultimi appartengono,
in quanto raffigurazioni abbreviate del satiro, le
antefisse sileniche2, cioè teste di satiro in visione frontale collocate in serie al limite orizzontale inferiore dei tetti di edifici sacri. Si pone,
allora, il doppio problema del loro significato
possibile oltre l’evidente scopo decorativo e
della eventuale differenza fra concezione greca e
concezione etrusca. Il problema del significato
dei soggetti usati per decorazioni architettoniche, quasi sempre trascurato in passato, è stato
affrontato per gli esempi più antichi di antefisse in Grecia – Thermos, Corfù – da M. MertensHorn (Mertens-Horn 1978) e trattato recentemente in maniera sistematica a proposito delle
1
2
In Cristofani 1986 l’unica rappresentazione di
Fufluns su un tempio è Fufluns n. 63, una lastra fittile a rilievo con Dioniso e Arianna, datata alla prima
metà del II sec. a.C. I supporti normali sono, oltre la
ceramica, gemme, specchi, qualche cista. Le poche
sculture (Fufluns nn. 55 e 62), tarde, sono di destinazione funeraria.
Il termine maschera verrà qui usato per comodità, ben
consapevoli del significato diverso che l’oggetto aveva
perlomeno per i Greci, se non per tutti gli antichi, da
quello per noi corrente: Frontisi-Ducroux 1991, pp. 912. Non si torna inoltre sulla questione né della denominazione satiro o sileno, né della sua appartenenza al
mondo dionisiaco, già trattata in Isler-Kerényi 2004.
decorazioni architettoniche arcaiche di
Selinunte da Clemente Marconi (Marconi
2007). È con ciò superata la posizione, comoda
ma anacronistica, che nega loro un senso anche
religioso3. Ritenere più verosimile che un tale
senso dovesse esistere non significa che ci sia di
facile accesso: questo contributo non ha l’ambizione di risolvere un problema di tale portata,
ma almeno di definirne i termini e stimolarne la
discussione.
Tempi e luoghi delle occorrenze dell’antefissa
silenica
Le prime antefisse sileniche note sono quelle
della seconda fase, datata al 540-530 a.C., del
tempio C di Apollo a Thermos (Winter 1993,
p. 131; Marconi 2007, p. 272 nota 29)4. Esse si
3
4
Nello stesso senso argomenta Andrén 1974, p. 11: «È
più che probabile, perciò, che tutti questi elementi di
decorazione architettonica; fregi, sime, anrefisse ecc.,
… abbiano decorato edifici di carattere sacro e non
profano». Cfr. Kästner 1982, p. 212: «Aber gerade als
Schmuck des Bauwerkes sind die Dachterrakotten…
immer Bedeutungsträger, die das Besondere der
geschmückten Architektur hervorheben, ihren besonderen Wert unterstreichen».
Antefisse simili, datate intorno al 530 a.C., sono state
trovate in Etolia anche a Taxiarchos: Andrén 1940, p.
clxv; Winter 1993, p. 132.
55
Ocnus 17, 2009
alternano a busti femminili e fungono da grondaie come le anonime teste maschili barbate
della stessa serie. La maschera silenica entra con
ciò nel repertorio delle antefisse quando è già in
corso il grande momento di fioritura della decorazione architettonica figurata dei templi che
inizia intorno al 560-550 a.C. (Marconi 2007,
p. 16): si tratta cioè di un soggetto più recente
rispetto al gorgoneion, alla testa femminile, alla
protome leonina che restano i soggetti più diffusi. Questa fase corrisponde nella ceramica
attica, che presenta la serie più nutrita e più
coerente nell’iconografia del satiro, all’attività
di Lydos, dell’Affecter e del Pittore di Amasis:
in cui la figura del satiro non solo gode di particolare popolarità, ma se ne manifesta chiaramente il ruolo di intermediario fra Dioniso e gli
umani (Isler-Kerényi 2004, pp. 43, 56 e 95). I
fatti notevoli a Thermos sono il parallelismo
dell’antefissa silenica con il gorgoneion, l’alternanza, e con ciò l’equivalenza semantica, con
l’anonimo barbato e il viso femminile, e il legame concettuale con l’acqua piovana.
Una maschera silenica datata al 520-510
a.C. compare anche su una sima del tempio
arcaico di Artemide ad Efeso (Muss 1994, p.
120, n. 27; Simon 1997, n. 165a ), non invece
fra i motivi della decorazione architettonica
templare nella restante Grecia arcaica5. Quanto
elencato basta però per escludere che antefisse
sileniche fossero un fenomeno peculiare
dell’Occidente.
Il centro che in Magna Grecia adotta per
primo, già nel trentennio 530-500 a.C., l’antefissa silenica in alternativa alla più numerosa
gorgonica è Taranto, da dove si diffonde in altri
siti della Magna Grecia (Laviosa 1954, pp. 243247; Orlandini 1983, pp. 402 s., figg. 425 e
426). In Sicilia il primato va, sul finire del VI
secolo, a Naxos dove prevale persino sul gorgoneion e godrà di particolare fortuna ancora nel V
secolo (Pelagatti 1965). Questo fatto è stato
giustamente messo in relazione con la forte presenza del satiro, insieme a Dioniso, nella vita
cultuale della città, ben documentata dalla sua
monetazione (Pelagatti 1977, pp. 52-54;
Franke, Hirmer1972, tavv. 2-4): un indizio
chiaro della dimensione poliade, oltre che personale, del satiro, chiaramente individuabile già
in Grecia (Isler-Kerényi 2004, p. 81). Le più
note, anche perché ben conservate e di rilevante
qualità estetica, sono le antefisse sileniche di
Gela datate intorno al 470-460 a.C., rinvenute
nei pressi dell’acropoli e provenienti da edifici
sacri minori (Rizza, De Miro 1985, p. 229;
Simon 1997, n. 167). Nella prospettiva etrusca è
poi significativa la loro presenza a Capua ancor
prima del 500 a.C. (Simon 1997, n. 168). La
posizione inclinata del viso satiresco gli conferiva ovunque un impatto forte sullo spettatore6,
simile a quello che emanava dal gorgoneion. Le
antefisse sileniche greche in Italia non fungevano però più da grondaie: l’associazione con l’acqua piovana restava però presente quando, nella
stessa collocazione, venivano usate maschere di
Acheloo (Isler 1981, p. 18, nn. 81-84). Meno
importante che in Etolia e in Etruria risulta qui
l’alternanza, e con ciò l’equivalenza semantica,
con la testa femminile. Da notare infine che i tipi
silenici presi in considerazione, attestati tutti in
un periodo in cui, in Grecia, la decorazione
architettonica fittile figurata stava scomparendo
(Andrén 1940, p. ccxlii), sono tutti, per quanto
cronologicamente prossimi, molto diversi fra di
loro sia per la forma sia per lo stile. Si tratta evidentemente sempre di adozioni e adattamenti fra
di loro indipendenti dei modelli greci: di scelte,
dunque, consapevoli e mirate alle esigenze locali. Questa osservazione vale nella stessa misura
per le antefisse sileniche etrusche.
L’antefissa silenica in Etruria
Agli anni intorno al 500 a.C. o poco dopo
sembrano risalire le prime antefisse sileniche
note in area etrusca, quelle del tempio del
Portonaccio a Veio (Colonna 1986, pp. 469 s.;
Simon 1997, n. 170: 480-470 a.C.). Alla stessa
serie appartengono, oltre a gorgoneia, teste femminili e di Acheloo (figg. 1-3). Quest’ultimo
tipo è stato inserito nel repertorio, a quanto
6
5
56
Maschere sileniche in terracotta sono però state rinvenute a Samo, di cui una in una necropoli: Buschor
1934, p. 53.
Orlandini 1954, 260: «… data l’inclinazione del
tetto, le teste sileniche sporgevano nel vuoto con forte
inclinazione verso il basso, così che lo spettatore, passando presso l’edificio, le vedeva incombere su di lui,
di pieno prospetto, con i loro volti demoniaci».
Cornelia Isler-Kerényi
risulta, solo in Occidente (Isler 1970, pp. 65 s.)
a ribadire il nesso concettuale delle antefisse con
l’acqua. La raggiera di palmette che circonda le
maschere evoca invece il mondo vegetale: come
è – e resta d’altronde anche in futuro – vegetale la maggior parte della decorazione architettonica anche in tutto il mondo greco. Gli elementi vegetali, con la loro colorazione vistosa,
assimilano gli edifici alle piante che crescono e
si sviluppano verso il cielo: nell’immaginazione attribuiscono vita organica al materiale
inerte pietra e terracotta. Il riferimento alla
vita vegetale appare enfatizzato in antefisse
ceretane di stile arcaizzante con maschere sileniche e femminili entro sistemi ornamentali
fatti di fiori di loto alternati a palmette
(Andrén 1939, tav. 17) oppure incoronati di
fiori, come quelli del tempio maggiore del
Vignale a Falerii (fig. 4). L’importanza semantica dei sistemi vegetali in cui sono inserite le
maschere femminili e sileniche è chiaramente
espressa da una lastra di Lanuvio del IV-III
secolo (Andrén 1939, tav. 132, n. 459). Edera e
vite, piante che più specificamente rimandano
alla sfera dionisiaca, si registrano successivamente, ad esempio a Cerveteri (Andrén 1939,
tav. 21, n. 69) e a Falerii (Andrén 1939, tav. 32,
n. 113b), e soprattutto in area laziale (Andrén
1939, tav. 113, n. 400: Ostia; tav.121, n. 426:
Segni; tav. 145, nn. 505 e 506: Satricum). Viste
nell’insieme colpisce, nelle antefisse sileniche
etrusche, la grande varietà nei particolari e lo
sforzo evidente, durante tutto il V secolo e
oltre, di attualizzarne lo stile, come si vede
bene per esempio a Roma (Andrén 1939, tav.
107, nn. 383 e 384): segno che, nel mondo
mentale di chi le creava e le guardava, continuavano a essere vive e attive.
Antefisse etrusche con il gruppo sileno-ninfa
Abbiamo già osservato il parallelismo che
sussiste anche in altre aree – in Etolia, Magna
Grecia e Sicilia – della maschera silenica con
il viso femminile, convenzionalmente, ma
impropriamente, denominato menade: la
compagna naturale del satiro nell’iconografia
arcaica, ed esplicitamente nell’inno omerico
ad Afrodite (h. Ven. 257-263), è infatti la
ninfa, così denominata anche sul cratere
François7. L’equivalenza semantica delle due
figure viene sottolineata in Etruria da antefisse
che rappresentano il satiro e la ninfa danzanti
insieme (Andrén 1939, pp. clxxxiii-clxxxv): un
soggetto riscontrabile anche su requisiti bronzei del simposio e sepolcrali, come i tripodi tardoarcaici di fabbrica vulcente e i candelabri di
Spina8. L’unica attestazione greca nota sono i
frammenti esigui di un’antefissa o di un acroterio di Olimpia del 520-510 a.C. di attribuzione stilistica controversa: magno-greca (Douglas
van Buren 1926, p. 56) o greca (Moustaka
1993, p. 49). Una ricostruzione recente ne
accosta il motivo a precedenti ben noti nella
ceramica attica, significativamente diversi,
come vedremo, dalla formula etrusca
(Moustaka 1993, tav. 47b)9.
Gli esempi da Satricum, datati al 490-470
a.C., sono i più antichi fra quelli noti (Andrén
1939, tavv. 147, 148 e 149; Simon 1997, n.
210), successivi di poco alle prime maschere. La
coppia si muove verso destra, con la ninfa che
guida. Il satiro dal volto ancora molto simile a
una maschera è incoronato di foglie di vite. In
un caso tiene nella destra un serpente. Il fatto
che più colpisce nel confronto con il motivo
ben attestato nella ceramica attica (Moraw
1998, pp. 113-117) è l’evidente armonia fra i
due: per quanto la valenza erotica del gruppo
sia indiscutibile, non c’è traccia né della potenziale violenza satiresca, né di una velleità della
donna di fuggire o di respingere il satiro.
Quando il satiro afferra un seno della ninfa
(Andrén 1939, tav. 55, n. 178) lo fa, evidentemente, in senso non aggressivo ma ludico
(Andrén 1939, tav.148, n. 511). Tale atteggiamento sostanzialmente pacifico si ritrova anche
nell’esempio di poco più recente di Falerii che
vede il ruolo di guida affidato al satiro. Il suo
attributo è questa volta un corno potorio, quello della ninfa un paio di nacchere (Andrén
1939, tav. 33, n. 114). Altri attributi in versio7
8
9
La questione della denominazione corretta e con ciò
dell’interpretazione della compagna del satiro,
abbozzata in Isler-Kerényi 1999, p. 554, nota 5,
verrà discussa più ampiamente da Nicoletta
Bonansea in Mythos, 2, 2008.
Douglas van Buren 1921, tav. I; Jannot 1977, pp. 322; Hostetter 1986, p. 17.
La ricostruzione tradizionale in Simon 1997, n. 208,
si orienta invece sugli esempi etruschi.
57
Ocnus 17, 2009
Fig. 1. Antefissa silenica da Veio. Roma, Museo di Villa
Giulia (= Andrén 1939, tav. 2.3). Foto
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria
Meridionale, Roma.
Fig. 2. Antefissa con testa di ninfa da Veio. Roma,
Museo di Villa Giulia (= Andrén 1939, tav. 2.4).
Foto Soprintendenza per i Beni Archeologici
dell’Etruria Meridionale, Roma.
Fig. 3. Antefissa con testa di Acheloo da Veio.
Roma, Museo di Villa Giulia (= Andrén 1939,
tav. 3.5). Foto Soprintendenza per i Beni
Archeologici dell’Etruria Meridionale, Roma.
Fig. 4. Antefissa silenica da Falerii.
Roma, Museo di Villa Giulia (= Andrén
1939, tav. 29.102). Foto Soprintendenza
per i Beni Archeologici dell’Etruria
Meridionale, Roma.
Fig. 5. Antefissa silenica con leontè da
Falerii. Roma, Museo di Villa Giulia
(= Andrén 1939, tav. 34.118). Foto
Soprintendenza per i Beni Archeologici
dell’Etruria Meridionale, Roma.
58
Cornelia Isler-Kerényi
ni simili di altri siti evocano feste e sacrifici
dionisiaci (Andrén 1939, p. clxxxiv). Una versione in stile marcatamente più recente proviene da Lanuvium: a guidare è qui la ninfa
(Andrén 1939, tav. 131, n. 456). Il satiro, incoronato di fiori o fogliame, fa il gesto dello skopeuma, ben noto dall’iconografia attica del satiro già intorno al 560 a.C., che allude alla
presenza, non visibile per tutti, di Dioniso e,
con ciò, al ruolo di intermediario del satiro
(Isler-Kerényi 2004, pp. 36 e 54).
L’atmosfera conflittuale che circonda la coppia satiro-ninfa nella ceramica attica delle
prime figure rosse fra la fine del VI e i primi
decenni del V secolo viene vista come il riflesso del rapporto divenuto problematico fra i cittadini e le donne nella polis clistenica (Moraw
1998, pp. 255 e 266): spiegazione che si accorderebbe con l’uso simposiale, cioè maschile, dei
supporti delle immagini. Un satiro, nell’ottica
femminile per lo meno inquietante, viene rappresentato inoltre su monete di città greche
nell’Egeo settentrionale dei decenni intorno al
500 a.C. (Franke, Hirmer1972, tav. 140, n.
435 e tav. xiv, n. 436: Thasos; tav. 123, n. 379:
Lete). Tanto più spicca l’immagine di euforica
armonia nel segno di Dioniso che la stessa coppia, anzi, se si immagina la serie di antefisse
simili allineate sul tetto dell’edificio, il thiasos
di cui fa parte (Minto 1952/53, 14), trasmette
dall’alto di tanti edifici sacri etruschi. Non possiamo, a questo punto, scartare l’ipotesi che tale
immagine di parità e di armonia della coppia
dionisiaca possa essere un riflesso della posizione istituzionale sostanzialmente diversa dall’ateniese della donna etrusca (Rallo 2000).
L’immagine di armonia conferma comunque
l’interpretazione del satiro come rappresentante
di una sfera “altra” e felice, staccata da quella dei
mortali, da parte dei ceramografi etruschi (IslerKerényi 2008). In Grecia il satiro si muove
invece nei due mondi, quello degli eroi del passato e quello umano, anzi li raccorda: per cui, in
determinate situazioni, il cittadino può identificarsi con il satiro (Isler-Kerényi 2004, 33). In
tale prospettiva si spiega forse sia la presenza, a
Thermos, del viso barbato, manifestazione del cittadino anonimo, in alternanza alla maschera silenica, sia il suo mancare nel repertorio etrusco. Il
che corrisponde al mancare, sui vasi etruschi, di
immagini che alludono alla metamorfosi del cit-
tadino in satiro, presenti invece nella ceramica
beotica e attica.
Quale possibile significato?
La ninfa, complemento femminile del satiro
in tutta l’iconografia, appartiene anch’essa alle
sfere sia mitica che umana (Isler-Kerényi 2001,
p. 94 [= Isler-Kerényi 2007, pp. 86 s.]). In
entrambe le accezioni è, come noto, più di altre
figure legata all’acqua: alle ninfe umane è assegnato il compito di attingere alla fontana l’acqua per l’oikos10, le ninfe mitiche animano i luoghi in cui si trovano sorgenti, grotte, corsi
d’acqua. Sorprende dunque ancor meno che nel
caso dei satiri trovarle sulle grondaie dei templi.
I satiri potevano però avere un legame anche
diretto con l’acqua, come dimostrano monete di
Himera della seconda metà del V secolo con un
satiro che si gode il getto d’acqua che esce da
una grondaia leonina, probabilmente in allusione alle celebri fonti termali del luogo (Franke,
Hirmer1972, p. 44, tav. 22, nn. 70 e 71). Satiri
e ninfe possono infatti, sui tetti magno-greci ed
etruschi, come abbiamo visto, accompagnare
Acheloo, divinità delle acque dolci (Isler 1981,
p. 12) e perciò anche di quelle piovane.
Decorazioni di tetti di edifici sacri fatti di satiri, ninfe, maschere acheloiche in combinazione
con piante e fiori rimandano, allora, alle forze
vitali e feconde della natura: l’edificio che la
comunità erige in onore delle proprie divinità
viene assimilato a quanto vive e cresce nella
natura. Per chi immagina il mondo come
cosmo, cioè in termini mitici, il tetto del tempio diventa la zona di raccordo fra quelle forze e
il cielo che manda l’acqua benefica. A quanto
risulta dalla distribuzione geografica delle antefisse sileniche, questo modo di intendere il tempio e la sua decorazione architettonica viene
espresso in modo assai più esplicito in
Occidente che non nella madrepatria greca.
L’elemento più appariscente che quella silenica ha in comune con gli altri soggetti di antefisse, soprattutto con quella più diffusa del gorgoneion, è il fatto di essere rappresentato come
maschera. È persino stata avanzata l’ipotesi che
10
Isler-Kerényi 2004, pp. 74 s.; Brunori 2006, pp.
270-276; Buzzi 2007, pp. 12-16.
59
Ocnus 17, 2009
l’idea di ornare i tetti dei templi con antefisse
fosse nata dall’uso, noto da santuari di Artemide,
di esporre maschere cultuali (Mertens-Horn
1978, p. 65). A prescindere dal problema delle
origini, la caratteristica più importante del viso
in forma di maschera resta quella di esprimere
nel modo più efficace il paradosso di uno sguardo ineluttabile combinato con la non-tangibilità
fisica di chi guarda (Isler 1970, p. 114; Kerényi
1996, pp. 265-277; Frontisi-Ducroux 1984).
Come ben esposto da Marconi, che giustamente
rigetta il concetto adottato in modo improprio
nell’Ottocento dell’«apotropaico» (Schlesier
1990, p. 43; Marconi 2007, p. 216), la maschera
gorgonica, nel trasmettere il senso di una presenza incommensurabile, trascendente i limiti
umani, incuteva timore e provocava un atteggiamento di devozione (Marconi 2007, pp. 214222). La sua collocazione in altitudine, approppriata a un essere mitologico di valenza aerea
come la Gorgone (Isler-Kerényi 2009, p. 240) e
in sintonia con l’idea che il tetto del tempio raccordasse la terra al cielo, cioè l’umano al divino,
enfatizzava naturalmente tale effetto sullo spettatore.
Un effetto analogo è da ipotizzare per la
maschera del satiro. Il che sorprende in quanto
l’iconografia dei vasi lo presenta come una figura sì inquietante, talvolta pericolosa, ma tendenzialmente piuttosto comica11. Resta difficile
immaginare che potesse suscitare un senso di
devozione. Le testimonianze qui prese in esame
e la loro collocazione fanno però pensare proprio
questo. Si ha anzi l’impressione che la maschera
silenica potesse fare da pendant maschile della
testa di Gorgone12. Se, d’altronde, una delle
funzioni delle maschere era di collegare la sfera
civile con quella, selvaggia e misteriosa, della
natura13, la scelta di quella del satiro era certamente la più indicata.
Accogliendolo fra i soggetti di antefissa si
attestava al satiro, sia in Grecia, sia in
Occidente e in Etruria, una valenza che andava
oltre l’ambito personale e interessava la comunità come tale. La dimensione poliade del satiro
è d’altronde ben documentata dalle monete di
Naxos, dove, in sostituzione al grappolo d’uva
delle emissioni arcaiche, compare, nel V secolo,
la figura accovacciata del satiro sul retro, mentre sul verso è rappresentato il patrono della
città Dioniso (Franke, Hirmer1972, tavv. 2-4).
Un’altra prova della dignità poliade del satiro è
data dalla monetazione di Aitna fra il 476 e il
466 a.C. che, sui suoi tetradrammi presenta una
bella testa di sileno incoronata d’edera sul verso
e, sul retro, Zeus stesso in trono oppure il suo
fulmine (Franke, Hirmer1972, tavv. II e 11, nn.
33 e 34)14. Emissioni in elettro di Kyzikos fra il
550 e il 450 a.C. con un satiro associato al
tonno, simbolo della città, o all’anfora (che allude al commercio del vino) dimostrano che tale
valenza poliade era percepita non solo in
Occidente e anche oltre il V secolo15. Il che non
può in realtà sorprendere chi si rende conto del
fatto che anche in Dioniso, la divinità di riferimento del satiro, al suo aspetto “altro”, messo
in rilievo dagli autori tragici, fa da complemento quello di patrono delle grandi feste della polis
(Vernant 1990, pp. 215-246, soprattutto pp.
238 s.; Seaford 2006, p. 36).
Riassumendo, si può constatare che la scelta
della maschera di sileno come soggetto di antefisse si spiega in Etruria analogamente a come si
spiega in ambito greco: in quanto equivalente
alla ninfa, al mondo vegetale e all’acqua piovana, e in quanto particolarmente affine alla
maschera per eccellenza, il gorgoneion16, caratte-
14
11
12
13
60
Cfr. Lentini 1995, a proposito dei sileni su antefisse
dipinte di Naxos. Cfr. inoltre i satiri etruschi del
Pittore di Micali: Simon 1997, n. 28b.
Come esplicitamente dimostra il noto modellino di
tempio di Sabucina se nel timpano presenta, in perfetta equivalenza con una maschera di Gorgone, una
maschera di satiro: Marconi 2007, p. 49, fig. 18, e p.
214.
Kerényi 1996, p. 265: «Mit den Masken kam etwas
von der freien Natur, ein Aspekt der antiken
Landschaft selbst in das Haus, die Aura eines
Geheimnisses der Landschaft, das gewisse
Maskentypen besonders andeuteten».
15
16
Caccamo Caltabiano 2008 (ringrazio sentitamente
l’autrice per avermi messo a disposizione il suo testo).
Vedi anche a Katane: Franke, Hirmer 1972, tav. 15
nn. 45 e 46.
Franke, Hirmer 1972, tav. 198, nn. 706 e 707; tav.
200, n. 722: IV sec.; tav. 202, n. 729: Lampsakos, IV
sec. Sul verso di stateri aurei di Pantikapaion del terzo
venticinquennio del IV secolo (Franke, Hirmer
1972, p. 99, tav. 142, nn. 440, 441) la testa silenica
incoronata d’edera viene interpretata come Pan, il
che alluderebbe al nome della città.
Nell’elenco di visi frontali in Korshak 1987 quelli di
satiri sono in larga maggioranza: 98 su un totale di
253.
Cornelia Isler-Kerényi
rizza il tetto del tempio come zona di raccordo
e di tramite fra la terra e il cielo.
Il satiro con la leonté
Nella serie delle antefisse con maschera silenica in zona etrusca compare però, in siti diversi e non prima del V secolo, un elemento iconografico nuovo e inaspettato: la pelle leonina (fig.
5)17. Si pensa naturalmente subito a una contaminazione con l’iconografia di Eracle. Tenuto
conto del numero non esiguo di esempi e della
loro collocazione vistosa su edifici sacri è però
difficile immaginare che si tratti di un’interferenza casuale o dovuta a ignoranza. Tanto più
che la leonté risulta in un caso di Satricum indossata anche dal satiro che forma gruppo con una
ninfa (fig. 6). Non solo la presenza massiccia di
Eracle sui vasi greci importati ma anche la sua
enorme popolarità in tutte le fasi dell’arte etrusca dimostrano quanto la figura e la sua mitologia fossero in Etruria fra le più familiari
(Schwarz 1990), evidentemente ben accolte da
una società rimasta sostanzialmente fedele ai
propri connotati gentilizi (Massa-Pairault
1999, p. 127)18. È d’altronde un fatto noto che
Eracle, per quanto intrepido e valoroso (Levêque
1999, p. 641) – caratteristiche espresse soprattutto dalla leonté, trofeo della più gloriosa delle
sue fatiche – veniva anche in Grecia spesso sentito come affine ai satiri, tanto da renderlo il
personaggio mitologico più frequente nel
dramma satiresco attico (Krumeich 1999, p.
56). Nel dotare la maschera silenica, come
Eracle, della pelle leonina l’artigiano etrusco
intendeva metterne in luce la facoltà e la volontà, se necessario, di difendere il tempio. Lo conferma l’esempio noto più antico, un’antefissa di
Caere nota in tre esemplari e datata ancora alla
seconda metà del VI secolo (Andrén 1940, pp.
34), con la figura intera, seduta frontalmente, di
un satiro che indossa la pelle leonina e che, nel
17
18
Andrén 1939, tavv. 30, n. 106 (Falerii), 34, n. 118
(Falerii), 51, n. 164 (Falerii), 68, nn. 222 e 223
(Orvieto), 69, n. 225 (Orvieto), 87, n. 310 (Chiusi).
La pelle animale indossata normalmente dal satiro è
quella di pantera (o leopardo): Simon 1997, nn. 103,
123.
Come tale si prestava a trasmettere messaggi politici
diversi: Briquel 1999.
sollevare la destra con il palmo aperto verso
l’esterno, sembra voler rivolgere allo spettatore
un messaggio rassicurante (fig. 7-8)19.
La leonté di questi satiri etruschi fa pensare,
oltre a Eracle, alle grondaie leonine, le più frequenti sui templi greci, ma anche su fontane e
propilei. Se gli altri motivi considerati – gli elementi vegetali, il gorgoneion, la ninfa, il satiro,
Acheloo – sono risultati approppriati come
decorazione dei tetti di edifici sacri in quanto
rimandavano alla zona di congiunzione e di tramite fra la natura e l’acqua piovana, fra la terra
e il cielo, già Mertens-Horn si è chiesta il perché della scelta più che frequente, abituale, in
questa collocazione della protome leonina
(Mertens-Horn 1988, pp. 16-18)20. A parte l’affinità, data dalla criniera, dai grandi occhi e
dalle fauci spalancate, del muso leonino con il
gorgoneion, deve aver favorito la scelta il ruolo
diffusissimo del leone come guardia delle fontane e, per estensione, di luoghi sacri in genere,
anzitutto di sepolcri (Mertens-Horn 1986, pp.
21-23). Un legame con la sfera celeste è dato in
particolare per il leone di Nemea, ritenuto da
alcune tradizioni mitografiche figlio di Selene,
la Luna, e, comunque, collocato infine nello
Zodiaco (Kerényi 2001, pp. 373-375).
Che i satiri delle antefisse con i visi incorniciati dalla leonté difendessero il tempio e la sua
sacralità, e con ciò l’ordine cosmico e della città,
è allora un’idea da estendere, perlomeno come
ipotesi, anche alle altre più antiche maschere
sileniche. La valenza guerriera dei satiri non è
d’altronde nuova nemmeno nella concezione
greca: lo dimostrano sia la partecipazione dei
satiri alla gigantomachia (Gasparri 1986, pp.
474, n. 609; 476, nn. 635-638; 640, 641), sia
gli emblemata di scudi con protome di satiro
(Simon 1997, nn. 187 e 188.; Isler-Kerényi
2004, p. 61, fig. 31) (fig. 9)21. Nuova è invece
l’idea di dotare la maschera silenica della pelle
19
20
21
Come rivela la fotografia qui pubblicata alla fig. 9, i
satiri con pelle leonina si alternavano a satiri ricavati
dallo stesso stampo, ma con la pelle di pantera, come
quella indossata talvolta da satiri nella gigantomachia di Dioniso sui vasi attici a figure rosse: Simon
1997, n. 138.
Per una breve rassegna degli esempi di età classica si
veda Mertens-Horn 1986, pp. 38-57.
Da ricordare, in questo contesto, anche alcuni fastosi
elmi tarentini del IV secolo secolo a forma di testa
silenica: Adam 1982.
61
Ocnus 17, 2009
Fig. 7. Antefissa con sileno seduto da Caere. Copenhagen, Ny
Carlsberg Glyptotek 188 (= Andrén 1939, tav. 10.33). Foto
Museo.
Fig. 6. Antefissa con coppia di sileno e ninfa da Satricum.
Roma, Museo di Villa Giulia (= Andrén 1939, tav.
149.512 [II: 13e]). Foto Soprintendenza per i Beni
Archeologici dell’Etruria Meridionale, Roma.
Fig. 9. Frammento di scudo in terracotta con maschera di sileno
da una Amazzonomachia a Satricum. Roma, Museo di Villa
Giulia (da Andrén 1940, p. 464, fig. 42).
Fig. 8. Antefissa con sileno seduto da Caere. Copenhagen, Ny
Carlsberg Glyptotek 189. Foto Museo.
62
Cornelia Isler-Kerényi
leonina, sintomatica della disinvoltura degli
artigiani etruschi nel combinare in modo autonomo elementi iconografici tradizionali per
adattare l’immagine greca al suo nuovo ambiente, creando così novità peculiari.
Per concludere, disponiamo di ragioni sufficienti per ritenere che le antefisse sileniche dei
tetti di templi etruschi fossero, come quelle
greche, una decorazione tutt’altro che priva di
senso. Non abbiamo avuto modo, in questa
sede, di esplorarne l’eventuale significato politico. Ciò avrebbe richiesto una ricerca approfondita sulla situazione storica e sociale di ciascuna
delle città che ha eretto templi dotati di antefisse sileniche con o senza leonté: c’è da augurarsi
che un tale studio venga intrapreso in sede più
competente. Per il momento valga l’ipotesi che
il satiro, collocato come il gorgoneion, le ninfe e
Acheloo nella zona di raccordo e di tramite fra
la terra e il cielo, fra sfera umana e divina, esprimesse anche in ambito ufficiale etrusco il suo
ruolo di mediatore dionisiaco, ben attestato
dalla tradizione iconografica greca. Lo sguardo
dei satiri cui il visitatore si sentiva, dall’alto,
esposto nel muoversi dentro il santuario ne rinforzava il senso di appartenenza alla comunità e
gli faceva nel contempo percepire, insieme ai
propri limiti, l’incommensurabilità del divino.
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